La chiesa paleocristiana di San Nicola

La chiesa paleocristiana di San Nicola
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A cura di Laura La Croce

Testo ed immagini di C. Esposito e G. Iacono.

Tra gli edifici superstiti del castro, quello identificato con la Chiesa di San Nicola, è sicuramente quello giunto ai giorni nostri nelle migliori condizioni. È l’unico infatti a presentarsi provvisto di copertura e ad essere ancora oggi utilizzato, seppur non nella funzione originaria.

La chiesa si presenta come una struttura dalla pianta ad L, costituita da un ambiente coperto da volta (navata, I), orientato in direzione nord – sud, comunicante con un ambiente a forma di torre, (presbiterio – torre, II), e da un ulteriore ambiente di servizio (sacrestia, III), posto perpendicolare al primo. Di questi tre ambienti, gli ultimi due (presbiterio e sacrestia) si presentano oggi inglobati in una costruzione successiva, che racchiude quindi la chiesa sul lato meridionale.

La navata unica della chiesa (I), è costituita da un ambiente a pianta rettangolare di 4,5 x 8,5 metri, coperto da una volta a botte estradossata, alta circa 4,5 metri al colmo della volta (dimensioni interne), affacciato su di una corte.

Ad ovest dell’ambiente è posto l’ingresso (1), sormontato internamente da un arco a sesto ribassato, mentre a nord, in direzione opposta a dove un tempo vi era l’altare, vi è una finestra di forma rettangolare.

L’intera navata è costruita con materiali misti (tufo, piperno, laterizi), legati tra loro con della malta. Sul lato meridionale, la navata è collegata al presbiterio (II), con cui è comunicante per mezzo di un grande arco a tutto sesto, occupante quasi tutta la parete.

Parte dell’arco è stata in epoca successiva murata (3), forse per problemi di statica.

L’area del presbiterio presenta il pavimento posto ad una quota più alta di circa 20 centimetri rispetto a quello della navata.

Sui gradini di accesso al presbiterio sono incise in stampato maiuscolo le lettere C ed E; non conosciamo purtroppo il loro preciso significato.

Più piccolo della navata (4,5 x 4,25 metri), ma più alto (circa 5,75 metri), il presbiterio presenta in quota tracce di alloggiamento per travi in legno (oggi scomparse), segno che tale ambiente doveva in origine essere diviso in due piani.

In particolare, nell’area superiore, sono ancora visibili tracce di finestre murate (due sul lato meridionale, una sul lato orientale), coperte da archi a tutto sesto.

Del locale superiore, non conosciamo la precisa destinazione; forse era utilizzato come una piccola cella campanaria.

In tale area doveva trovare posto l’altare, che molto probabilmente, aveva come stipite il blocco di pietra oggi ancora presente nei pressi della chiesa.

Sul lato occidentale del presbiterio vi è una porta (4), oggi murata, che un tempo conduceva al terzo ambiente della chiesa, la cosiddetta “sacrestia” (III), così chiamata, per via della vicinanza con il presbiterio, e per il fatto di essere un tempo comunicante con esso, anche se non esistono reali prove che possano dimostrare che abbia mai svolto tale funzione.

Tale ambiente è formato da un locale unico di metri 6,5 x 4,5, il cui pavimento è sfasato di 90 centimetri rispetto a quello della navata. Presenta inoltre un ingresso (5) ed una finestra (6), entrambi posti sulla parete settentrionale e comunicanti con la corte su cui affaccia la chiesa.

La chiesa è anche famosa per un singolare ritrovamento avvenuto nelle sue adiacenze.

Si tratta di un manufatto lapideo, che è in genere riconosciuto come il blocco stipite dell’altare un tempo presente nella chiesa.

Non conosciamo con esattezza la storia di questo reperto: si sospetta infatti che esso fosse in origine un’ara votiva od un basamento di statua di epoca romana.

Il manufatto si presenta come un grande blocco di pietra in forma di parallelepipedo, alto circa 1,10 metri e largo circa 80 x 60 centimetri.

È provvisto di una base appena sbozzata e di una cornice modanata leggermente aggettante sul bordo superiore.

 

Un elemento che sin da subito destò particolare interesse, fu la presenza di un incavo di forma rettangolare posta su una delle due facce del monolite.

La cavità fu quindi riconosciuta come la fenestella confessionis dell’altare in questione.

La fenestella era in pratica quell’apertura presente negli altari che permetteva la visione delle reliquie contenute al suo interno (se presenti).

In questo particolare caso, la fattura della fenestella permetterebbe una datazione del manufatto, che fu assegnato dai prof. Giamminelli e Di Bonito ad un periodo compreso tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo.

 

Ricostruzione 3D della chiesa:

 

 

 

Come raggiungere il sito:

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